|
...ha le mani forti e "attente" del plasticatore
che ricerca la forma nel "mettere" (plastilina, creta, cere)
piuttosto che nel "levare" (marmi, graniti, pietre, legni).
Molti attori di cinema e di teatro si sono dedicati
e si dedicano alla pittura (Henry Fonda tra i più sensibili ed
originali), ma pochissimi alla scultura (Anthony Quinn e suo figlio Lorenzo,
ma anche Arnoldo Foà mi confessò che amava scolpire ciottoli
raccolti passeggiando lungo il greto dei fiumi).
Pittura e
scultura, comunque, sono passioni che non si inventano ma che hanno origini
profonde nella sensibilità, ora più visiva ora più
tattile, specialmente la scultura per la quale non è che si possa
fare riferimento ad esercitazioni
scolastiche
come per il disegno o per le tecniche pittoriche. Per lo più viene
da un istinto naturale coltivato nelle manipolazioni di terre, sabbia,
neve, creta, pongo, e oggi "DAS" e le più sofisticate
plastiline. Certamente viene da un bisogno di "tastare" la materia
e di darle forma inizialmente per gioco come espressione del tutto disinteressata,
non finalizzata, poi come continuazione ed espansione della dimensione
ludica nella materializzazione della propria percezione e conoscenza dei
corpi delle misure e dei rapporti nello spazio, fino alla modulazione
dei gesti nell'invenzione personale ed originale della forma: armonizzazione
tra progetto, materia, mestiere, pensiero e gesto plastico.
Questo
è il percorso che ha compiuto anche Giuliano Gemma, che come egli
stesso dichiara, sente la passione per la scultura come qualcosa che viene
da molto lontano, dal gioco
-sempre molto serio- dei bambini, portato poi al livello della ricerca
e dell'espressione di sé frequentando studi di Maestri e soprattutto
manipolando creta e cere, oltre che praticando un buon collezionismo formativo
tanto del gusto quanto delle scelte stilistiche.
Quel che più mi interessa rilevare, tuttavia,
è l'attenzione che Gemma riserva alla figura modellata come luogo
emblematico delle qualità e delle possibilità espressive
del corpo, restituzione alla figura di una centralità perduta e
necessaria per ridare consistenza alla sensorialità, al rapporto
con i sentimenti, con il mondo intimo. In questo, evidentemente, recupera
nel suo fare una certa contiguità con il recitare, l'interpretare,
solo che invece di "entrare nella parte", la proietta, la studia
e la contempla nella forma plastica. Il suo
impegno artistico diventa sempre più professionale e le sue opere
escono ormai dall'esercizio plastico di rappresentazione, per essere sempre
più libera modulazione personale della materia. Lo si avverte soprattutto
negli animali, nel Bisonte e nel Cavallo andaluso,
autentiche invenzioni che non nascono da un semplice bisogno di espressività
tattile e manipolativa, bensì da una precisa focalizzazione dei
problemi della scultura (tridimensionalità, ritmo, tutto tondo,
relazione nello spazio e con la luce) come luogo di racconto dell'uomo.
La sua plasticità è energicamente scandita per innervature
essenziali, vigorose e in certe soluzioni ancora troppo rigorose, determinate,
che tendono tuttavia a sciogliersi nella luce sia attenuando la perentorietà
dei gesti (il Pugile, in cui è ravvisabile l'amico Marvin Hagler,
il Maratoneta), sia in virtù della superficie del bronzo lucidata
a specchio, o
spostando l'attenzione dal corpo come figura al corpo come struttura architettonica
(Pentimento), ora concedendosi qualche ironia (Sesso debole -con guantoni-
o Cow Boy).
Gemma
predilige il bronzo lucidato perché la luminosità calda
della lega toglie peso alla materia e rende più "sonoro"
il gesto plastico, più energico e in sostanza più aderente
all'entusiasmo e alla serietà con cui l'attore arrivato e "consumato"
si rimette in discussione e alla prova in una carriera, quella di scultore,
che lo vede giovane (perché la maturità artistica si sposta
molto in avanti) e certamente ricco di qualità e di nuove potenzialità.
Giorgio Segato
Critico d'arte
|
 |